Vukovar, 1991, Livio Senigalliesi
Vukovar, 2011, Livio Senigalliesi
Le due foto, ad opera del fotoreporter Livio Senigalliesi, sono state scattate a vent'anni di distanza in una piazza di Vukovar.
Nel 1992 la Croazia venne ufficialmente riconosciuta dalla CEE ed entrò a far parte dell'ONU. La guerra si spostò così in Bosnia, dove era presente una grande comunità croata.
"Vista col senno di poi, Vukovar è stata adattissima come terreno di ricerca,
una perfetta città-laboratorio.
Tutto vi è avvenuto in modo particolarmente visibile e semplice.
Lo scontro è stato frontale, tra due etnie; non complesso come quello bosniaco."
Paolo Rumiz, maschere per un massacro
In Bosnia la situazione è più complicata, stretti tra due stati in guerra i dirigenti non sono pronti ad affrontare un conflitto che nessuno si aspetta. La Bosnia, con la sua capitale Sarajevo, è infatti il più riuscito esempio di crogiolo etnico; un paese in cui bosniaci, serbi e croati convivono pacificamente, almeno fino al 1992. Il governo decide di indire un referendum per decidere l'indipendenza ma il partito democratico serbo, guidato da Radovan Karadzic, sebbene il 64% dei bosniaci si esprima a favore della separazione si oppone, minacciando la guerra civile.
Radovan Karadzic (sulla destra) a colloquio con Ratko Mladic (autore della strage di Srebrenica)
E la guerra arriva, sotto gli occhi degli increduli bosniaci. In men che non si dica le etnie che fino al giorno prima avevano convissuto pacificamente si trovano l'una opposta all'altra in uno strano balletto a tre in cui non si riesce mai a capire chi sia colpevole di cosa. Inizialmente infatti bosniaci e croati sono alleati contro i serbo-bosniaci ma nel 1993 anche tra croati e bosniaci scoppiarono delle ostilità.
Le prime città a cadere sotto il controllo serbo furono quelle del nord, vicino al confine croato ma nella capitale ancora non si credeva alle proprie orecchie, la borghesia urbanizzata bosniaca non poteva credere a quello che stava accadendo; così neanche quando il 6 aprile 1992 una ragazza che stava partecipando ad una manifestazione pacifista sul ponte di Vrbanja venne uccisa nessuno si rese davvero conto del pericolo imminente. Nessuno capì niente, o più probabilmente non volle capire, neanche quando nei quartieri periferici si cominciarono a scavare le trincee e le riserve di cibo cominciarono ad essere organizzate. Così quando le forze serbo-bosniache cinsero d'assedio Sarajevo pochissimi avevano abbandonato la città, fiduciosi in una risoluzione lampo della guerra, una situazione alla slovena insomma. Così non fu e l'assedio della capitale, protrattosi per 43 mesi (aprile 1992 - febbraio 1996) fu il più lungo e cruento della storia moderna.
Cimitero musulmano di Sarajevo, 2012
Vista dal ponte di Vrbanja, prima linea tra i fronti, 2012
Gli assedianti puntano allo sfinimento della città ma ancora un volta in questa guerra atipica non sono gli obiettivi militari ad essere presi di mira ma i civili e tutto ciò che rende civile un popolo. Non a caso la biblioteca di Sarajevo è la prima ad essere bombardata ed incendiata; lo scopo dei serbi è chiaro, distruggere Sarajevo in quanto è la testimonianza, la prova vivente, che una convivenza tra etnie è possibile e che fino a non troppo tempo fa non era neanche messa in discussione.
"Sopra la testa senti un sibilo, passa qualche istante e poi laggiù,
da qualche parte in città, si scaraventa il boato...
Se il fuoco è lento, pigro, è la casa di qualche poveraccio.
Se prende la forma di una grossa sfera bluastra, allora è qualche ben arredato loft rivestito di legno.
Se invece divampa lungo e costante,
allora a bruciare è la casa piena di mobili in legno massiccio di qualche ricco della Carsija.
Ma se le fiamme si levano repentine, selvagge e dissolute come i capelli di Farrah Fawcett
per poi svanire più repentine ancora, lasciando al vento sfoglie di cenere planante sopra la città,
tu sai che poco prima è andata a fuoco una qualche biblioteca privata.
E poichè in tanti mesi di bombardamenti ne hai viste tante di quelle torce giocose,
pensi davvero che un tempo Sarajevo si erigeva sui libri."
Paolo Rumiz, maschere per un massacro
Uno degli eventi più (tristemente) celebri dell'assedio di Sarajevo fu senza dubbio la cosiddetta strage del pane. Il 27 maggio 1992 su una fila di civili in coda per prendere le loro razioni alimentari vennero lanciate tre bombe da mortaio che fecero più di 20 morti e 170 feriti. Questa fu una delle prime stragi ad essere ripresa praticamente in diretta dai media, che ne fecero un'accurata descrizione.
«Sullo schermo scorrono le immagini di una bolgia senza speranze: una bambina
con le gambe spezzate portata a braccio verso un ricovero, gli ultimi singulti di un
uomo in agonia, un altro che muore appoggiato ad un muro come se l' avessero
fucilato, i feriti che implorano aiuto tendendo una mano verso la cinepresa, i
cadaveri straziati di uomini e donne, le pozzanghere di sangue che si allargano sui
ciottoli impastando la polvere e l' intonaco delle mura sbrecciate. Uomini smagriti
che trascinano i corpi E poi uomini frastornati, smagriti, che trascinano alla meglio
corpi insanguinati e inerti, con le gambe che strusciano per terra, con la testa
ciondoloni. E nessuna autoambulanza, non partono più da quando sono il bersaglio
preferito dei cecchini. E ancora sangue, ovunque sangue. Questa è Sarajevo, questa
è l' Europa dove spesso ha fortuna chi muore subito, se l' alternativa è agonizzare
su un marciapiede»
La Repubblica, 28 maggio 1992, Guido Rampoldi
A seguito di questi avvenimenti gli stati uniti decisero che era ora di intervenire contro Belgrado per fermare il massacro, fecero pressioni sul consiglio di sicurezza al fine di autorizzare un intervento in Jugoslavia. Il 28 giugno 1992 il presidente francese Mitterand atterrò a Sarajevo portando ai cittadini una speranza in più.
«Non sono qui come negoziatore", ha affermato Mitterrand prima di partire. "Sono venuto per informarmi e per osservare di persona la realtà . E quello che ho potuto vedere in poche ore mi ha convinto che i rischi di una missione umanitaria a Sarajevo, rispetto alle sofferenze della sua popolazione, sono un fattore secondario».
Corriere della Sera, 29 giugno 1992, Renzo Cianfanelli
Ed effettivamente l'intervento di Mitterand, accolto con tutti gli onori dal presidente bosniaco fu decisiva per l'apertura di un corridoio di sicurezza che assicurava il rifornimento aereo a Sarajevo con la riapertura dell'areoporto.
Furono queste le basi per un intervento dell'ONU nella guerra di Jugoslavia, o meglio, furono questi i fatti che impedirono all'ONU di rimanere ancora uno spettatore passivo verso le atrocità che giorno dopo giorno stavano dilaniando la Bosnia e i suoi abitanti.
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