Descrizione

Tesina di Eugenio Manuelli
Liceo Scientifico Elio Vittorini
Anno Scolastico 2012-2013

venerdì 24 maggio 2013

Introduzione


All'alba della caduta del muro di Berlino la Jugoslavia era uno stato federale composto da sei repubbliche: Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia, Montenegro, Macedonia e Slovenia. A capo di questa federazione stava, fin dai tempi della resistenza jugoslava, il maresciallo Josip Broz (meglio conosciuto come Tito, suo nome di battaglia) che in seguito alla rottura con Stalin nel 1948 (causata dal rifiuto ad entrare sotto la sfera di influenza sovietica) aveva saputo mantenere il potere creando uno  stato praticamente indipendente dall'influenza Russa pur mantenendo il comunismo come struttura politica. Alla morte del maresciallo nel 1980, come nella maggior parte delle dittature, il vuoto di potere creatosi non fu sostituito dalla classe dirigente Jugoslava, troppo poco abituata ad avere seri ruoli decisionali e le lotte di potere per prendere il posto di Tito fecero precipitare il paese in una crisi.
La particolarità della Jugoslavia stava infatti nella incredibile varietà di popoli e culture che vi abitavano, Sarajevo, attuale capitale della Bosnia, era forse il più lampante esempio di questa cultura "balcanica" capace di intrecciare in una convivenza pacifica popoli diversi in una sorta di "melting pot" di culture. Come è stato dunque possibile arrivare alla guerra etnica per un paese in cui la varietà era sempre stata un vanto? Per arrivare a comprendere le motivazioni di un conflitto tanto assurdo quanto scritto conviene fare un passo indietro e cominciare analizzando la situazione politica negli ultimi decenni del '900, perchè come sottolinea Paolo Rumiz nel suo libro "maschere per un massacro" gli Jugoslavi tutto si aspettavano tranne una guerra.

"Ricordo anche il sarajevese Sefer Hasanefendic.
Stava nel suo negozietto di alimentari nel quartiere di Alipasino Polje:
tutti lo consideravano l'uomo più mite del mondo.
Anche lui, nel marzo del 1992, si stupì di fronte ai primi spari in città, sul ponte di Vrbanja.
Un mese dopo, ascoltando gli orrendi bollettini provenienti dalla Drina,
continuò a scuotere il capo dicendo: non è possibile. 
Non è che fosse sconvolto da una cosa mostruosa.
Semplicemente non la credeva vera, non prestava attenzione a ciò che riteneva pura propaganda.
Brontolava, il vecchio Sefer, e subito si rimetteva al lavoro.







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